Il colaggio

Il colaggio è il processo che permette di ottenere la formatura dei pezzi impiegando il caolino, ridotto allo stato di liquido filante.

Anche questa fase di lavorazione, spesso misconosciuta, presentava attività che presupponevano competenze non banali.

Sulla base del programma di lavorazione (coerente con gli ordini pervenuti dai clienti), veniva giornalmente impostato il lavoro del colaggio.

Una volta pronto, l’impasto liquido, detto “barbottina”, veniva versato nelle forme che, nel frattempo, erano state poste rovesciate su appositi banchi di lavoro e ben serrate con corde ed elastici affinché non si aprissero sotto la spinta della colatura.

Il rovesciamento delle forme faceva sì che la loro base diventasse in realtà un coperchio, con il foro di colaggio posto in alto.

Le pareti in gesso della forma, venute a contatto con la barbottina, assorbivano rapidamente parte dell’acqua da essa contenuta [1] e il livello del liquido doveva essere rimboccato una o due volte durante la mezz’ora circa che occorreva per ottenere il giusto spessore.

L’ispessimento della barbottina nella forma in gesso era in funzione delle dimensioni, del tempo, della plasticità dell’impasto, della densità della barbottina, della qualità del gesso della forma e dallo stato di usura della forma stessa.

Lungo le pareti interne della forma si era così venuto a creare uno spessore di barbottina solidificata, che poteva essere controllata nella sua consistenza e nel suo spessore grazie all’incavo predisposto dal “formatore” intorno al foro di colaggio: gli oggetti più piccoli erano pronti quando raggiungevano uno spessore di pochi millimetri, quelli più massicci dovevano attendere di raggiungere oltre i cinque millimetri di spessore.

Una volta raggiunto lo spessore desiderato, la forma veniva raddrizzata, rovesciandone la base contenente il foro, per far fuoriuscire la parte di impasto non solidificatosi. [2]

Mediante la “scolatura” era quindi possibile ottenere oggetti vuoti all’interno, con il vantaggio sia di risparmiare caolino, sia di limitare il peso dell’oggetto, sia di limitare i rischi di rottura che i pezzi pieni presenterebbero durante la cottura ad elevate temperature.

 

La sformatura e la ricomposizione dell’oggetto

Dopo alcune ore dallo svuotamento del caolino residuo, la forma poteva essere aperta [3] ed il pezzo rimosso, appoggiandolo delicatamente su di un “plateau” in gesso.

Se questa operazione avveniva troppo presto, il pezzo, ancora troppo morbido, poteva afflosciarsi su se stesso o di fianco, rimanendo irreparabilmente danneggiato; se avveniva troppo tardi, il ritiro dell’impasto era ostacolato dalle asperità interne (pieghe, smussi, rilievi ecc.) con conseguenti danni al manufatto.


[1] Che grazie agli additivi aggiunti, era solo del 35% circa anziché del 50%, come normalmente occorrerebbe se non si fossero aggiunti gli additivi

[2] Questa eccedenza veniva recuperata in un recipiente e riversata nel contenitore centrale della barbottina per essere riutilizzata nei successivi colaggi.

[3] La barbottina, che ha aderito alle pareti dello stampo, perde gran parte dell’acqua sia per l’evaporazione sia per l’assorbimento che si verifica lungo le parti a contatto del gesso e di conseguenza essa si ritira e si stacca dallo stampo

 


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